Recensione non richiesta del libro L’ultimo uomo al mondo

Guarda caso, il libro è scritto da un maestro per la sua classe di scuola elementare.
Guarda caso, i protagonisti sono i ragazzi stessi e non c’è dubbio che essi abbiamo avuto un ruolo decisivo nella elaborazione della storia.
Guarda caso, i ragazzi di questa classe sono stati educati in un contesto di libertà, disinvoltura e parità assoluta nei rapporti intergenerazionali.

Come dichiarato dallo stesso autore, si tratta di una storia che ha il solo scopo di divertire chi la legge e la ascolta, non ci sono intenti didascalici, frasi complicate o retoriche, caratteri complessi, nessun ideale alto, a parte la sopravvivenza. 

Una classe decide di vivere una grande avventura, affitta un dirigibile e sale oltre le nuvole: una bella fortuna, perché quel giorno c’è una nuvola verde tossica che stermina buona parte dell’umanità, trasformandola in pietra.

Ridiscesi sulla terra, il gruppo deve affrontare le conseguenze dell’evento: difendersi da gruppi di animali che diventano potenziali predatori del loro gruppo, procurarsi cibo, vincere la noia e combattere contro gruppi stranamente sopravvissuti e sempre piuttosto ostili.
Ne deriva un surreale tutti contro tutti dove le trovate non sono necessariamente legate da un filo conduttore.
La storia finisce con un duello in stile spaghetti western tra la classe e un gruppo di balordi. Resta in piedi, unico sopravvissuto e del tutto soddisfatto, solo il maestro.

Il tono è sempre leggero e scanzonato, le stragi e i momenti più splatter sono innaffiati da abbondante humor inglese; e così esagerati da risultare caricaturali.

Non mancano accenni alla società del tempo o alla politica ma ogni tema troppo adulto è ridotto d’importanza.

D’altronde, nulla è vero, perché fin dall’inizio i capitoli sono inframezzati da sequenze in cui i ragazzi commentano il capitolo precedente, in un gioco redazionale meta-narrativo, che diventa anche uno spazio didattico e relazionale.

Nell’Appendice, l’autore sottolinea che la disinvoltura con cui si narrano eventi dolorosi e massacri va incontro al gusto dei bambini ed è esattamente ciò che meglio li vaccina contro la violenza: nessun studente di Summerhill potrebbe diventare un violento o il seguace di un feroce dittatore; al contrario egli può documentare come i protagonisti della storia siano divenuti rispettabili professionisti e pacifici padri/madri di famiglia, appassionati e amorevoli. 

Viceversa, afferma provocatoriamente, sono la rigida morale e la censura sistematica dei college tradizionali ad avere partorito i sadici protagonisti de Il signore delle mosche! 

Tutto ciò potrebbe apparire abbastanza sconcertante, pensando che il libro è stato scritto nel 1932.

Tema minimal, idea del tutto pretestuosa, trama abbastanza assente, L’ultimo uomo al mondo manca di tutti gli ingredienti che sono alla base di quello che chiamiamo tradizionalmente “romanzo”; ne nasce una somma di avventure molto fantasiose, ma slegate tra loro, e senza alcuna direzione: tutto ciò è un po’ stancante e in definitiva il libro non regge la prova del tempo. Ma con qualche ritocco potrebbe diventare la sceneggiatura di una serie tv interessante.

Esempi di sequenza che esprimono lo “stile” del libro: 

“La tempesta arrivò e la nave rullava e beccheggiava scricchiolando pericolosamente; i poveri cavalli imbarcati erano terrorizzati e soffrivano il mal di mare. Tutti stavano malissimo, ma, nausea o non nausea, le caldaie dovevano essere tenute in funzione. “Dovremmo virare”, disse Bunny. “Virare per dove?”, chiese Betty. “Non lo so.” disse Bunny “ma in una tempesta si vira sempre.”

“Sono morti.”
“Anche Michael?”
“Tutti morti.”
“Terribile, mi doveva dieci biglie e un chewing-gum”.

L’arte autoreferenziale è rischiosa e ogni tanto la storia cade nella trappola.

Ma è fantastico immaginarsi Neill che la legge di fronte ai suoi bambini e credere come questi si siano appassionati (dopotutto anche noi amavamo la “storia” senza ricordarla, perché emanava semplicemente la magia di un rapporto). 

In questo, il Neil romanziere è coerente con il saggista, più rigoroso ma altrettanto utopista.

A.S. Neil, L’ultimo uomo al mondo, Emme Ed., 1970
(or. The Last Man Alive, 1932)

Evoluzione ed innovazione

Le tecnologie informatiche hanno diverse vie evolutive in base a quelle che si suppongono essere le esigenze del mercato e i campi più “urgenti” di applicazione. Partendo da questi ultimi, le tecnologie rivolte alla sostenibilità ambientale e alla salute o alla alimentazione paiono essere quelle più sotto osservazioni da parte di industria, governi e società civile. Leggi tutto “Evoluzione ed innovazione”

Tecnologia come ambiente

La prima condizione del funzionamento di una qualsiasi didattica è che faccia riferimento alla realtà. Ogni piano dell’offerta formativa, tanto per fare un esempio, presenta i dati di contesto, prima ancora di formulare una lista di progetti.
E i contesti sono certamente diversi, tali per cui è certamente giustificato un approccio della didattica variegato ed eterogeneo; ma chi sono i bambini e i ragazzi che oggi vanno a scuola? Ci sono indagini statistiche che riportano un quadro sociologico attendibile? Per venire nel “mio”, in questo quadro, che ruolo giocano le tecnologie. La domanda può apparire sofistica, ma la verità è che le TIC, prima ancora di essere uno strumento di cui il sistema può disporre per dare una “risposta” educativa ad una precisa esigenza, sono un “ambiente” nel quale tutti sono immersi e una “protesi” esistenziale e comunicativa delle nuove generazioni, sugli stili di apprendimento delle quali l’impatto potrebbe essere (e da tempo) nient’affatto trascurabile.

Le condizioni del funzionamento delle TIC nell’apprendimento

L’incremento dell’uso della tecnologia durante la scuola ai tempi della pandemia ha rilanciato il dibattito sterilissimo tra tecnofili e tecnofobi, il che avviene tutte le volte che assistiamo ad una accelerazione nel percorso abbastanza “obbligato” di implementazione delle TIC. Un esempio di tematica “accelerante” era stata la LIM, che a sua volta ha una storia oscillante nel trust-rank didattico: oggi “risorge” col bando sui monitor interattivi.
Il sostanziale fallimento della DAD (che oggi viene riproposta come ripiego estremo per il risalire dei contagi variante omicron) ha infatti rintuzzato la polemica contro la tecnologia; poiché in ambito educativo non tutto è sostituibile dalla macchina, l’aspetto positivo della polemica è che forse si potrebbe capire “fin dove” le TIC possono arrivare. Anche noi sosteniamo che le TIC sono quasi inutili, laddove replicano protocolli desueti, poiché il loro scopo sarebbe proprio quello di superarli e modificarli. Il rischio è quindi quello di dimenticare di affrontare il vero problema e cioè una seria riforma della didattica. Dobbiamo finalmente chiederci quali sono le condizioni del funzionamento delle TIC nell’apprendimento.

Looking for an easy guilty

Mention of another good article by prof. R. Maragliano (in italian)
A little of utopia…
Più che di tragedia della DaD parlerei di tragedia della cultura nazionale in fatto di scuola.
I primi studi nazionale sulla determinazione sociali degli studi risalgono a sessant’anni fa. Questa predisposizione economico-sociale al successo o non successo scolastici non è mai stata negata né lo è mai stata la sua articolazione geografica nord/sud – est/ovest, elemento che incide pesantemente a livello di scuola secondaria e al di sotto del quale sta, pesantemente confermato dentro la cultura formativa nazionale, una disposizione gerarchica degli indirizzi scolastici. Sono fattori residuali dell’impianto ottocentesco, aristocratico, centralistico, autoritario, e che spiegano anche perché c’era già un’inaccettabile disparità nei risultati, prima della pandemia.

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Can we come back to the “normality”?

Mention for this article by prof. Franco De Anna (in italian).
This is his website.

L’APPUNTAMENTO CON I RISULTATI DELLE RILEVAZIONI INVALSI
Premessa doverosa
Sono da sempre convinto della importanza delle rilevazioni annuali che INVALSI compie sui livelli di apprendimento nella nostra scuola, del valore essenziale di questo aspetto della Ricerca Educativa, delle modalità di restituzione all’intero sistema, e con articolazioni che nel tempo si sono andate via via approfondendo, dei risultati di tale ricerca in termini di strumenti preziosi di elaborazione diagnostica su diversi livelli.
In primo luogo, come strumenti utili a supportare la “razionalità decisoria” relativa al sistema stesso innanzitutto in termini strategie di politiche dell’istruzione e di conseguenza della congruenza e dei risultati delle scelte operative ad esse legate.

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How moving on after COVID and DAD experience?

No recent event make us talk about school more than COVID.

“DAD” (didactic on distance) was probably one of the keywords of the pandemic era. However, the most widespread opinions, supported by statistics, speaks about that as an educational failure, actually.

Technology, hailed as the best and only solution (and financed on the same way), is now a convenient scapegoat: the useless debate between “apocalyptics” and “integrated” has regained strength. But technology favors or allows only some of the processes involved in educational dynamics, and, though powerful, a “medium” remain just a “medium”.

At the end of the day, the quality of work depends on the quality of people; and the quality of teachers is an even more complicated subject than COVID. And it is so for a thousand reasons, first of all the fact that the outcome of “good teaching” is difficult to recognize and certify, which is why for years we have been floating between the “coldness” of INVALSI data, the more or less plausible comparisons with foreign systems and a system that has transfigured this difficulty into a taboo, a category that does not accept evaluations of any kind or even structural changes (by “structural” change I mean, for example, the request for approaches that do without the textbook and improve using of technology).

However, as I said, at least it has been talked about, because the truth is that the covid era has highlighted mostly pre-existing difficulties.

The “educational success” depends by many reasons and it would be important to analyze them all. There are responsibilities of families, of politics, of the students themselves.
But now I must talk about school.
While the people feels (or like to feel) that everything has been done “in parentheses”, and wants to come back to the good old days, as if nothing had happened, we find ourselves in the embarrassing situation in which some schools did a lot of things and want to be thanked for, and some did nothing or should have better done nothing. Some teachers were absolutely good and some absolutely wrong.
We don’t speculate on percentages of good and bad ones but I have to notice that just 6% of Italian teachers were involved in training course in the past two years. If the situation was so difficult, I would have expected, along with the decree mandating the implementation of the Plan on Integrated Digital Teaching, at least the temporary training obligation.
Looking forward to another similar school year, managers and teachers should have spent the second half of June and the first half of September NOT teaching to the students, but studying and discussing, to understand what to propose this year. I’m talking about goals and methods, but also about tools, of course.
I think it was worthwhile even at this time.
I, too, maintain that the Support Decree was made with good intentions and good objectives. Moreover, schools have already had a lot of money to implement these activities. But in practice, what are the prevailing activities? Have they really been selected based on the criteria of the decree? Who will control them? How understand if activities were working?
In conclusion the problem of student recovery is less urgent than quality of teaching.